Dal Corriere della Sera del 29 dicembre 1907

Le questioni relative alla navigazione interna, che nei primi anni del ‘900 ha avuto un così notevole sviluppo all’estero, hanno cominciato a destare un vivo interesse anche in Italia. Una commissione autorevole, presieduta dall’onorevole Romanin-Jacur, se ne è magistralmente occupata; una Legge apposita fu proposta e si cominciarono nuovi studi per venire alle applicazioni. Forse sarebbe stato più conveniente limitare gli studi fin dal principio alla valle del Po per provvedere sollecitamente a renderlo sicuramente navigabile, non perdendo nello stesso tempo di vista le eventuali future comunicazioni verso Genova attraverso l’Appennino e verso l’Europa centrale attraverso le Alpi. Ma non c’è dubbio che gli studi che si Sarebbero intrapresi sarebbero comunque stati preziosi nel tempo. I problemi maggiori erano basati sulle enormi difficoltà tecniche che si incontrano per superare con un canale il versante di un monte. I soli mezzi allora conosciuti per questo scopo erano le chiuse o conche, delle quali un antico e classico esempio è sull’Adda a Paderno, e gli elevatori meccanici; ma quando si tratta di superare dislivelli di centinaia di metri, la loro applicazione presenta ostacoli ritenuti generalmente insormontabili. Così quando nel congresso internazionale di navigazione tenuto a Milano nel 1905 fu proposto il quesito di una comunicazione per il canale fra il Mediterraneo o l’Adriatico e l’Europa centrale, una sola memoria fu presentata; e questa memoria, redatta dall’Ing. Riedel, concluse che l’idea era ancora prematura. Tuttavia come osservò il Prof. Paladini nella relazione generale da lui fatta su questo stesso tema al congresso, tutti i tecnici, per quanto convinti che sia prematuro pensarci, hanno in fondo il presentimento che un canale attraverso le Alpi si farà un giorno o l’altro; non è quindi opera del tutto vana di determinare la natura ed i limiti delle difficoltà da vincere, se non altro per tener viva la questione e facilitarne la soluzione. Si può intanto dire che, con riferimento al congresso, che la soluzione era da ricercare nel perfezionamento delle chiuse piuttosto che negli elevatori meccanici, e infatti quando nel 1903 fu aperto in Austria un concorso internazionale per un elevatore da applicarsi alla comunicazione fra il Danubio e l’Oder nessun concorrente malgrado i vistosissimi premi da 100.000 e 75.000 corone, trovò una soluzione soddisfacente. Certo molti perfezionamenti furono apportati in quegli ultimi tempi nella costruzione delle chiuse per diminuire il consumo d’acqua e la durata delle manovre; ma in sostanza il tipo fondamentale della chiusa rimase sempre quello stesso che il modenese Filippo degli Organi ed il bolognese Fioravanti applicarono, secondo il Lombardini, per la prima volta nel 1439 alla conca di Viarenna a Milano. Solamente qualche tempo dopo il congresso del 1905, l’Ing. Pietro Caminada, reduce dai suoi lavori in Sud America, ideò un sistema, che pubblicò qualche anno dopo, considerato una soluzione alle difficoltà esistenti, che aprì così un inaspettato orizzonte all’avvenire della navigazione transalpina. Una serie di chiuse verticali, scaglionate sul versante di una montagna di parecchie centinaia di metri di altezza, urterebbe contro ostacoli pratici che è facile immaginare; sarebbe come se si volesse costruire una ferrovia di montagna mediante una serie di ascensori invece di seguire il pendio del monte. Ma perché non si fa percorrere anche ad un canale un pendio del monte con una serie ininterrotta di chiuse inclinate che si seguono l’una all’altra? Questo fu il principio che guidò l’Ing. Caminada e lo condusse ad ideare un nuovo sistema di chiuse suscettibile delle più larghe applicazioni. Se si considera una chiusa verticale ordinaria, e la si immagina inclinata con un angolo qualsiasi, essa non cessa perciò di essere una chiusa e di funzionare come tale, ma diventa una chiusa tubolare; una serie di chiuse tubolari, di diversa lunghezza e pendenza secondo il pendio, seguirà l’andamento del terreno come lo seguirebbero i binari di una ferrovia. La figura schematica sotto riportata può dare un idea: A è il tronco inferiore, F è il tronco superiore del canale, B-E è la chiusa inclinata con le porte B ed E. Un barcone C o un treno di barconi, introdotto nella chiusa e guidato con opportuni tenditori e prua ed a poppa da una rotaia posta sul fondo inclinato della chiusa, si eleverà come nelle chiuse ordinarie, man mano che l’acqua, attinta al tronco superiore, passerà da questo al piede della chiusa. Ma mentre si alzerà, il barcone progredirà anche in avanti per la spinta dell’acqua, a causa della rotaia inclinata; così a chiusa riempita il barcone si troverà davanti alla porta E, e aperta questa, passerà nel tronco superiore. Avremo dunque ottenuto nel medesimo tempo l’alzamento ed il trasporto del barcone lungo il tratto inclinato. Un canale, il quale dovesse superare il versante di un monte, non sarebbe quindi che una serie di chiuse tubolari, disposte sia l’una di seguito all’altra, sia anche a zig zag, imitando perfettamente le svolte ed i tornanti di una strada di montagna, seguendo il profilo del terreno, sviluppandosi nelle valli laterali, precisamente come farebbe una ferrovia. Converrà anzi, come indica l’Ing. Caminada, abbinare insieme due linee di chiuse, una per la salita ed una per la discesa, precisamente come per una ferrovia a doppio binario. E se invece di superare un versante a forte pendio, il canale dovesse attraversare una regione meno ripida per arrivare al piede del monte, sarebbe sempre lo stesso sistema che si applicherebbe; solamente che le chiuse tubolari, a causa della mite pendenza, diventerebbero chiuse aperte, ossia il canale si comporrebbe di una serie di tronchi successivi a fondo inclinato secondo la pendenza del terreno e separati da porte mobili, ed i barconi passerebbero da un tronco all’altro in salita o in discesa. Non ci sarebbe nessun bisogno di trazione meccanica, poiché sarebbe l’acqua stessa, fatta passare da un tronco al tronco inferiore, che produrrebbe un moto progressivo sia in ascesa che in discesa. Abbinando due canali così fatti e facendo in modo che in un tronco si ed in uno no, si trovi un barcone pronto a salire su uno dei due canali, o pronto a discendere sull’altro, è facile vedere che perché un barcone salga lungo l’intera linea abbinata, basta consumare un volume d’acqua uguale per ciascuno, a quello necessario per riempire un solo tronco. Questo consumo d’acqua potrebbe essere ancora diminuito con una disposizione analoga a quella delle chiuse accoppiate e comunicanti, o con bacini di riserva di uso attuale. Resta la questione delle gallerie per il passaggio del vertice dei monti, che costituisce uno degli ostacoli più difficili, soprattutto per le enormi dimensioni della sezione. Fino ad allora infatti non si era mai concepito altro sistema che quello di un canale sotterraneo a livello, largo a sufficienza per gli scambi, con banchine per la trazione meccanica. Secondo le dimensioni dei barconi, le gallerie di allora avevano determinate larghezze come le gallerie di Candes sul canale Marne-Saone di 16 metri, od anche il progetto dal canale da Marsiglia al Rodano, 18 metri di larghezza ed oltre 10 di altezza; una sezione che sarebbe quasi otto volte quella di uno dei più grandi trafori fino a quel momento, il Sempione. L’Ing. Caminada per girare la difficoltà propone di fare due gallerie abbinate con lieve pendenza per evitare la necessità della trazione meccanica, quindi senza banchine e con una sezione ridotta al minimo non essendoci più da temere il rigurgito prodotto dalla trazione, una per l’andata e l’altra per il ritorno.